Dopo lo straordinario evento svoltosi presso il centro sociale "El chentro" di Tor Bella Monaca, periferia di Roma, con il discorso tenuto dal ministro degli esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, pubblichiamo il seguente articolo di Giacomo Gabbuti come bella testimonianza.
«Una collega giornalista venendo qua mi ha chiesto: “Ma perché vai a parlare di queste cose in un Centro Sociale? Non ci sono altri luoghi più adatti a parlare di temi diplomatici?”; la risposta è semplice: primo, perché noi veniamo dalla società civile, e non andremo mai da altre parti; secondo, perché noi in Ecuador crediamo nella diplomazia ciudadana, ed è con voi che vogliamo parlare». Esordisce così Ricardo Patiño – Ministro degli Affari Esteri e “della Mobilità Umana” del secondo governo Correa, anche se qui per tutti è il compañero Patiño.
Dopo le visite ufficiali nella mattinata, e prima dell’intervento all’Università di Roma Tre di questa mattina, è stato "Il Che", spazio sociale sorto nel mezzo del quartiere di Tor Bella Monaca, ad accogliere con un dibattito, una cena tipica e un concerto, uno dei Ministri simbolo della revolución ciudadana, il nuovo corso della politica ecuadoriana, che dal 2007 sta riscrivendo la storia del Paese andino, incominciando dalla Costituzione.
Patiño in visita a Roma: la revoluciòn ciudadana e lo spread di dignitàPer quasi due ore, una folla di residenti, studenti, attivisti aveva gremito la sala, intrattenuta da Gianni Minà, quando alle 20.00 la comunità ecuadoriana scatta in piedi cantando “¡Alerta que camina, la espada de Bolívar por América Latina!”. È questa l’accoglienza per l’uomo che, dopo aver studiato economia in Messico e Spagna, aver preso parte alla Rivoluzione Sandinista in Nicaragua e aver fondato un istituto di micro-credito nel suo Paese, si è trovato a tenere le redini del Ministero dell’Economia e della Commissione di audit che, in osservanza del nuovo art. 290, ha deliberato il rifiuto di pagare 3,2 miliardi di dollari di debito illegittimo (categoria, come ricorda l’economista francese Chesnais, introdotta proprio dagli Stati Uniti per non far ripagare ai paesi caraibici i debiti verso la Spagna). Le brochure prodotte dal suo Ministero recitano Ecuador, Paese Sovrano: ed è dalla sovranità che prende le mosse il discorso di Patiño, da quando, poco prima della nomina, era stato invitato a un colloquio dagli emissari della World Bank e del Fondo Monetario, desiderosi di offrire il loro sostegno al nuovo governo. «Avevo ben chiaro cosa aveva fatto l’FMI al mio Paese, ma ero curioso di sapere fino a che punto si sarebbero spinti a parlare con me; dopo i convenevoli, arrivano al sodo, e mi chiedono: “Come pensate di risolvere il problema del debito?” Gli ho risposto semplice semplice: “Pagheremo quello che è legittimo, e non ripagheremo i debiti illegittimi”», e racconta lo stupore dei funzionari statunitensi che è lo stesso che regna in una sala piena di cittadini europei, abituati a vedersi taglieggiare ogni giorno dalla crisi e dal there-is-no-alternative.
Quando il Ministro racconta dei funzionari invitati a prendere la porta dopo aver evocato lo spauracchio dell’embargo, siamo noi a esultare come e più degli ecuadoriani. «Non si può far politica per i cittadini se non si è veramente sovrani», ammonisce Patiño, parlando di sovranità politica, militare, ma anche monetaria: col piglio dell’economista eterodosso (o semplicemente keynesiano) denuncia l’assurdità della teoria dell’indipendenza della Banca Centrale, Vangelo del neoliberismo, che fingendo la neutralità di istituzioni ampiamente in mano ai poteri economici, ne sottrae il controllo al legittimo potere politico. Applicato in Italia con la separazione tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro del 1981, l’effetto collaterale è stata l’esplosione dei costi del debito pubblico italiano, con la sua conseguente esplosione in poco meno di vent’anni. Mentre in nome della “responsabilità” noi introducevamo il pareggio di bilancio in Costituzione, in nome della sovranità l’Ecuador espelleva l’ambasciatore USA che non forniva spiegazioni sul caso wikileaks. «Non è del resto un caso – aveva detto Minà nell’introduzione – che a proteggere Assange e il diritto all’informazione sia stato proprio l’Ecuador: dopo aver riscattato secoli di oppressione, questo Paese ha il diritto di essere sotto gli occhi del mondo».
In sei anni, l’Ecuador ha infatti raggiunto importantissimi risultati sul piano economico e sociale: l’elenco del Ministro (riduzione della povertà del 12% e della disuguaglianza del 7%, gratuità di istruzione e sanità, disoccupazione al 4.3%) trova un fact-checkingimmediato nelle facce della comunità che lo accoglie. Sarà proprio una studentessa-lavoratrice ecuadoriana a ribadire che i loro volti di emigrati devono essere un monito a non tornare più indietro sulla strada della sovranità e dei diritti. Naturale chiedersi se si tratti di populismo, come sostiene molta stampa locale: ma Patiño rivendica scelte estremiste e impopolari, come la chiusura di 14 università per mancanza di qualità didattica. Con un PhD negli Stati Uniti, Correa ha messo al centro del programma di governo «l’investimento nelle persone», triplicando la spesa in istruzione («e se significa chiudere un centro sportivo o non fare un’autostrada, pazienza!», chiosa Patiño), per non parlare delle borse di studio, previste anche per chi studia nelle «100 migliori università del mondo». «La spesa per le borse di studio – ci tiene a ribadire Patiño – è l’unica per la quale non sono previsti vincoli di bilancio»: sa di colpire duro parlando di vincoli, forse non sa di parlare a studenti che vivono il dramma dell’essere idonei non beneficiari, e che scherzando ma non troppo si dicono che varrebbe la pena annacce a vedé ‘sto Ecuador. Sarà applauditissimo proprio uno studente che, comparando l’Ecuador che caccia l’FMI all’Italia piegata di fronte a Marchionne, invoca un po’ a nome di tutti l’aiuto del Ministro.
Eppure sarebbe proprio Patiño, assieme ad un rappresentante delle comunità indigene del Lago Agrio, a esser venuto per chiedere la «solidarietà e il sostegno dei fratelli italiani» contro la Chevron, in quella che stata definita “la più grande battaglia legale ambientalista del 21° secolo”. Il colosso americano, infatti, dopo aver rilevato nel 2001 la Texaco e i suoi interessi nella zona, è stato portato in tribunale dalle comunità autoctone. «Lavoravo alla Texaco perché ero ignorante, o perché ignoravo quello che facevano», dice l’indio, e racconta lo sversamento di miliardi di litri di sottoprodotti della raffinazione del petrolio che hanno inquinato le falde acquifere. Mentre la Texaco-Chevron macinava profitti, le popolazioni locali ne ricavavano tumori e aborti spontanei. Dopo aver spinto per portare il processo in Ecuador nella convinzione di potersela cavare più facilmente che negli Stati Uniti, Chevron ha sbattuto contro la nuova Costituzione e i diritti in essa riconosciuta, e la sentenza del 2011 la obbliga a sborsare 9 miliardi di dollari – pena raddoppiata per non aver presentato le proprie scuse alle comunità indigene. Da allora la multinazionale si rifiuta di sborsare un solo centesimo, pretendendo a sua volta un risarcimento miliardario. Mentre la comunità internazionale dedica ben poca attenzione al caso Chevron, Patiño e il suo governo si stanno facendo promotori di istituzioni di cooperazione continentale contro gli abusi di multinazionali che, nel caso di Chevron, fatturano tre volte il PIL del piccolo Stato Andino. Nonostante le difficoltà, al terzo mandato Correa gode ancora di un consenso larghissimo, dice Patiño, che invita a evitare paragoni con politici italiani…
È proprio per loro l’ultimo aneddoto: all’ultima conferenza Italia – America Latina, nell’ottobre 2011, il suo collega italiano gli avrebbe infatti chiesto: «Ma come avete fatto?!?». Erano al tramonto dell’esecutivo Berlusconi, abbattuto dallo spread e dal tintinnar di monete che veniva da Francoforte: «Il primo passo è stato non dar retta all’FMI. – avrebbe risposto Patiño a Frattini – Così, voi non dovreste dare ascolto alla BCE». Un buon consiglio: ma per applicarlo sembra servire una revolución ciudadana.
http://www.ilcorsaro.info/altrove/la-revolucion-ciudadana-in-ecuador-o-lo-spread-della-dignita.html