di Monica Di Sisto (Fair)
A Copenaghen chiediamo un atto coraggioso: invertire la rotta. Non ci si può limitare alle pur necessarie percentuali di taglio delle emissioni in un tempo determinato, ma deve andare oltre considerando le questioni altrettanto importanti della deforestazione, dell'agricoltura sostenibile e delle economie locali. Come Fair crediamo che non possa essere sostenibile un accordo che non considera gli sbilanciamenti e i fallimenti di un'economia di mercato spinta a globalizzarsi sempre più, secondo la logica perversa per cui il mercato sarebbe la risposta a qualsiasi problema.
La crisi economico finanziaria di questi ultimi anni, caratterizzata da un aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime agricole e del petrolio, ha dimostrato come un'economia di esportazione e dipendente dai mercati globali sia nei fatti ingiusta e sperequativa. A questo va aggiunto l'impatto ambientale di una produzione altamente energivora ed utilizzatrice di derivati del petrolio come pesticidi e fertilizzanti chimici, per trasformare la terra in una vera e propria industria di cibo destinato a mercati lontani.
Persino l'ultimo rapporto 2009 firmato Unep e Wto indicano come l'incremento dei commerci internazionali sia di per se causa dell'aumento delle emissioni di gas serra, così come la ricerca ossessiva di nuove terre da coltivare, anche attraverso il nuovo fenomeno del land grabbing che rischia di depredare ulteriormente Paesi già fortemente colpiti dalla recessione e dalla crisi.
Paesi, come quelli africani, che sono già le prime vittime di un cambiamento climatico che si presenta con il volto della desertificazione e dell'erosione dei suoli. Secondo il rapporto Wto-Unep l’agricoltura sarà uno dei settori maggiormente colpiti. In molte regioni a basse latitudini, dove si trovano molti Paesi in via di sviluppo, è stata prevista una diminuzione della produttività dei raccolti attorno al 5-10% in seguito ad un aumento della temperatura media di 1°C. Un aumento ulteriore determinarebbe in diversi Paesi africani il crollo della produzione agricola fino al 50% entro il 2020, con risorse che derivano dall’agricoltura che rischiano di crollare del 90% entro il 2100.
Arriva la Carovana dei movimenti sociali
Da Ginevra a Copenhagen per dire che il mondo non è in vendita. Oltre 60 attivisti della Rete Our World Is Not For Sale (OWINSF) provenienti dalla ministeriale Wto di Ginevra, conclusasi con un nulla di fatto lo scorso 3 dicembre, sono arrivati oggi alle 19 al KlimaForum di Copenhagen dopo migliaia di chilometri di strada. Accolti da decine di partecipanti al Summit alternativo, la carovana formata da europei, statunitensi, ma anche rappresentati dei movimenti indigeni di Colombia, Ecuador, dei pescatori indiani, dei contadini bengalesi, de La Via Campesina sono la testimonianza vivente di come le questioni del commercio internazionale e della Wto siano strettamente connesse con il cambiamento climatico. Perché, per dirla con le parole della Rete OWINSF “Cambiate il commercio, non cambiate il clima”.
I movimenti sociali indiani al loro Governo: è ora di cambiare strada Con un documento firmato da quasi 200 organizzazioni, i movimenti sociali indiani hanno condannato la posizione del Governo di Manmohan Singh, presente alla Conferenza delle Parti di Copenhagen, che sottolinea come le emissioni indiane procapite siano basse elemento che escluderebbe l'India da maggiori impegni per l'abbattimento delle emissioni. Le realtà della società civile denunciano i dati delle basse emissioni procapite come conseguenza dei centinaia di milioni di poveri che non hanno diritto ad una vita degna, mentre le minoritarie élite indiane in realtà già avrebbero emissioni procapite molto simili a quelle europee.
Per le 200 realtà firmatarie è quindi necessario ripensare la politica energetica del Paese, e questo non può essere fatto senza mettere mano alle profonde disuguaglianze che lo lacerano. Ed obbligando le élite indiane, come quelle mondiali, a cambiare stile di vita. Le soluzioni non possono essere basate sulle tecnologie, ma bisogna trovare tecnologie basate su soluzioni condivise, come per esempio la produzione decentralizzata di energia sostenibile, l'esclusione dell'opzione nucleare e la libera circolazione delle idee, contro le normeTRIPS della Wto, che proteggono la proprietà intellettuale ed i brevetti a discapito dei diritti umani. Esattamente come per i farmaci, anche per il cambiamento climatico la lotta per mettere idee e progetti a disposizione di tutti sarà lunga e faticosa.
Giallo sulla presidenza danese: negoziati sotto banco?
È giallo sulla bozza di accordo che sarebbe stato discusso a porte chiuse tra alcuni negoziatori non ben identificati, ma riferibili ad alcune delegazioni di Paesi industrializzati, tra cui gli Stati Uniti, l'Unione Europea e la Danimarca. La bozza di dichiarazione finale, che ha cominciato a girare stamattina in via informale arrivando persino ad occupare le pagine del quotidiano londinese Guardian, ricorda i documenti discussi e decisi nelle green room dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, incontri informali basati sulla chiamata ad personam (e quindi ben poco trasparenti) con i quali nei fatti si svuota l'Organizzazione della sua democraticità e trasparenza. Ma se alla Wto queste pratiche sono la norma, lascia perplessi (e irrita i Paesi esclusi, soprattutto i Paesi emergenti) che questo possa avvenire in una Conferenza delle Nazioni Unite. Il documento, già pubblicato su www.faircoop.net/faircoop, per alcuni analisti superebbe il protocollo di Kyoto arrivando a proporre tagli più sostanziosi per i Pvs e lo spostamento della gestione finanziaria dei programmi di adattamento e mitigazioni nelle mani della Banca Mondiale e non più