di Paolo Brama
La notizia è di quelle capaci di gettare nello sconforto intere schiere di lettori, appassionati e addetti ai lavori; il grande e geniale scrittore di opere come “The infinite Jest”, “Una cosa divertente che non farò mai più”, “Brevi interviste con uomini schifosi” e molti altri, si è tolto la vita impiccandosi nella sua casa di Claremont, California. Nessun biglietto lasciato, né spiegazioni ufficiali – almeno finora –, il nulla.
Nel suo passato, alcuni momenti oscuri, in bilico tra il restare a galla ed il rischio di affacciarsi e cadere nel buio della mente, comunque risaliti e affrontati con la forza della lucidità, della sua intelligenza impareggiabile, della sua scrittura geniale e cervellotica.
Ci sono stati i passaggi più bui, quelli della dipendenza dalle droghe, comunque superati grazie al suo ingegno, all’amore di Karen, la sua eterea consorte, all’affetto degli amici più stretti. Magari anche l’ammirazione della sua smisurata comunità di fan, distribuita globalmente sui cinque continenti, può aver giovato ai suoi momenti di fragilità, magari per il lasso di un battito di ciglia. Gli ultimi tempi, pur se ghermiti dalle insidie del male oscuro che tornava a galla, non sembravano condurre né tanto meno far pensare al tragico epilogo appena consumato. Tra coloro che gli erano accanto, tutti giurano di aver ricevuto rassicurazioni, dallo stesso Wallace, sul suo umore e sulla sua voglia di riappropriarsi della fuggente serenità.
A partire da domani – e qualcuno ha già iniziato – leggeremo gli immancabili canti di prefiche, conditi da oscure e intellettualistiche teorie, sul fatto che negli ultimi suoi racconti avesse iscritto il proprio necrologio, l’annuncio criptato del suo suicidio. E già partono le riflessioni sulla sua ultima raccolta “Oblio”, e in particolare su “Good Old Neon”, in cui narra, in prima persona, del suicidio di un suo ex allievo. Pur nel rispetto delle varie opinioni ma discostandoci con fare netto dal pensiero del “era già scritto”, preferiamo in queste righe ricordarlo per tutto ciò che in lui parlava di Vita; la sua mente che viaggiava a velocità iperuraniche, la sua intelligenza vivacissima e condita – non a caso – di un’ironia aristocratica, la sua scrittura giocata dalla purezza del cristallo a contrasto di luce.
Aveva portato, con la sua sintassi innovativa ed il coraggio della sperimentazione, nuovi colori e suoni nell’universo scrittorio; aveva riempito teatri e aule universitarie con i suoi reading e conferenze; aveva schiere di ammiratori in tutto il mondo, i più accesi proprio tra i suoi amici scrittori – Jonathan Franzen, Rick Moody, Zadie Smith e Nathan Englander –. Aveva arricchito la letteratura degli ultimi vent’anni accostando le gesta di grandi tennisti – vedi Federer e Tracy Austin – all’arte pura; le sue lucide analisi sul terrorismo alla passione per lo sport; la politica alla musica classica e i grandi temi esistenziali al cinema hard – vedere “Considera l’aragosta” –.
Vengono alla mente le considerazioni di Benigni su Fellini (“con lui tutto era magia, che parlasse di arte o della rucola”), e la consapevolezza, per citare la sua grande amica e scrittrice Zadie Smith, della sua grandezza immortale “Wallace ha semplicemente il genere di cervello che viene voglia di frequentare. Fidatevi”.
Che si è fidato, senza remore o tremori, ne ha ricevuto in dono i frutti di una mente geniale al lavoro: il respiro affannoso eppure gaudente dopo la lettura del monumentale “The Infinite Jest”, l’ironia impareggiabile di “Una cosa divertente che non farò mai più”, le atmosfere realistiche e surreali, al contempo, de “la ragazza dei capelli strani”.
Segnaliamo, visto il recente anniversario del tragico evento che sette anni or sono ha letteralmente cambiato le nostre vite, il racconto “La vista dalla casa della Sig.ra Thompson”, nella raccolta “Considera l’aragosta”. La sua visione sull’undici settembre, sulla grande tragedia che ci ha visto spettatori, sull’America di oggi.
Da leggersi, se possibile, davanti alla foto dell’autore più conosciuta, quella in cui una bandana raccoglie i capelli lunghi sopra la sua espressione trasognata, la barba appena incolta e il sorriso garbato. Questo era David Foster Wallace, una delle menti più geniali della ultime generazioni.
Quando ci lascia un’anima come la sua, il mondo intero, per l’occasione riunito tra credenti e non, ha il dovere di riunirsi in preghiera.