di Giorgio Barbieri
Ho già scritto altre volte di morti sul lavoro, morti bianche le chiamano. È la forma più alta, più odiosa, più colpevole di quella precarietà che stiamo vivendo in questi anni.
Tutto immolato sull’altare del profitto.
Forma più alta perche il nostro Paese si sta trasformando. Il capitalismo si trasforma e coglierne i cambiamenti aiuta a capire.
S’è voluto evolvere per “stare al passo” dei paesi più avanzati e si è riformato il mondo del lavoro con un risultato che ormai è consolidato e quasi accettato da tutti come inevitabile: la precarietà del lavoro.
Ma assieme a questa riforma non s’è mosso altro, ad esempio la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, che avrebbero consentito al Paese di matenere gli antichi livelli di competitività internazionale, per cui i precari tali restano fino a che, con grande colpo di fortuna riescono a 30, 35, 40 anni ad avere un lavoro che consenta loro di fare programmi per quando saranno “grandi”.
Ed ecco che tutte le possibilità offerte di contratti atipici (già il termine ha in sé qualcosa di inquietante, non sono un lavoratore normale, ma atipico) consentono il ricatto, lo sfruttamento, parola ormai desueta questa, ma se i termini e i vocabolari cambiano, non cambia la sostanza delle cose.
Ma non è solo questione di giovani.
Perché una società che vuole stare al passo può anche avere un periodo di assestamento, di adeguamento a nuovi standard ma il capitale nostrano oggi ha perso ogni capacità manageriale (vedi Alitalia), l’industria è ormai in mano al capitale finaziario, i servizi essenziali alle multinazionali (vedi la gestione dell’acqua); e l’industria chiude: cassa integrazione, mobilità, dati che sono calati solo in virtù del fatto che i primi a rimetterci sono proprio i precari, che non hanno accesso agli amortizzatori sociali e si ritrovano da un giorno all’altro ad arricchire le schiere di coloro che cercano lavoro.
Gli assaltatori della finanza, senza nessuna vocazione industriale, chiudono le fabbriche che non danno reddito immediato, incuranti di ogni strategia che non sia quella del profitoo, e anche i più anziani si ritrovano così ad essere precari, a pochi anni dalla pensione, magari senza nemmeno la possibilità di arrivarci con la mobilità, e quindi espulsi dal mondo produttivo con tutte le conseguenze sociali, non solo in termini di costi, che si creano, e quindi si moltiplcano le partite IVA per consulenze, si moltiplicano i consulenti, scade la qualità del servizio, aumenta il ricatto.
Esistono situazioni che non si possono quantificare, mercificare e monetizzare: sono i drammi individuali di tutti coloro che si trovano espulsi dal ciclo produttivo, di tutti coloro che da un giorno all’altro si ritrovano a non sapere più che fare la mattina, e il senso di inutilità ti pervade, ti pervade anche un vago senso di colpa perché magari se avessi lavorato di più…se avessi lavorato meglio…e non sai cosa fare di tutto questo tempo libero improvviso, e ti rode il tarlo del senso di colpa nei confronti della famiglia, e il benessere cui speravi si allontana per una malessere economico e interiore che non sai bene definire e non sai contrastare perché magari non ti è mai capitato e non hai esperienza: è finito il tempo del posto fisso fino alla pensione!
E questo malessere che ti pervade non fa parte di nessuna statistica, ci rientri, nelle statistiche, solo perché non arrivi a fine mese con lo stipendio della moglie, con il mutuo da pagare, con le bollette che arrivano impietose, e ti fanno pure sentire in colpa perché non consumi e non fai girare l’economia! Ma nulla dicono di quanto si sta male in quella condizione!
E intanto il teatrino della politica ripete sempre lo stesso copione, cade un governo, si va alle elezioni ma di morti sul lavoro e di precari e di fine mesi non raggiunti non ne parlano mai: qual è il paese reale di cui parlano i politici nostrani? Quello che dovrà eleggerli o quello che non arriva a fine mese o che muore sul lavoro e non voterà più?
Sondaggi su chi vince, belle facce piene di cerone e rossetto, bei trucchi, bella televisione. Un reality.
Del vero paese reale, di quello che non arriva a fine mese, dei pensionati che non arrivano alla quindicina, dei ragazzi che se ne vanno all’estero, delle coppie che non riescono a farsi una casa e un futuro di famiglia normale (e tanti soloni parlan in difesa della famiglia!), di migranti costretti a lavori pesanti per ore e ore oltre le otto, malpagati e senza nessuna previdenza, di cassintegrati, di mobilità, di polpolo di partita IVA, di negozietti che aprono e chiudono subito dopo, di laureati sprecati, di tutto questo non se ne parla mai, non fa notizia, non è bello! come spazzatura da nascondere sotto il tappeto!
Certo si vogliono lucidare gli ottoni per far sembrare tutto più bello.
E rientrano nelle statistiche e nei sondaggi di voto, ora più che mai ciascun politico si fa il suo sondaggio, vive il suo reality, fa il suo show in televisione, una Italia patinata insomma, dove non trovano spazio le classi (termine ormai desueto anche questo, anche nella sinistra), ci rientrano come una massa di manovra congeniale solamente alla conquista di un potere che è sempre più lontano dalle necessità e sempre più vicino alle grandi lobby.
Un paese liberalizzato il nostro, senza però il carattere e le tradizioni dei grandi paesi liberali, quindi un paese selvaggio, dove liberalizzare significa dare settori economici in pasto alle mafie, alle multinazionali senza scupoli, un paese dove comunque l’uomo e le sue necessità non è mai al centro delle attenzioni: i grandi principi etici enunciati a gran voce sono solo specchietti elettorali: un Ferrara per la moratoria sull’aborto, come se le donne che abortiscono per necessità, anche solo per malattia, non soffrano, non provino il grande dolore che si prova per la perdita di un figio, tutto passa al di sopra di questo, in nome del potere e della visibilità politica e televisva.